"Dobbiamo mappare le competenze!" È il nuovo mantra delle HR, eppure la maggior parte dei tentativi fallisce miseramente. Perché? Perché partiamo dalla soluzione invece che dal problema. È come voler curare un paziente partendo dalla lista dei farmaci disponibili, invece che dai suoi sintomi.
Il grande equivoco delle competenze
Lo ammetto: anch'io sono caduto nella trappola. Ho passato mesi a creare meravigliosi framework di competenze, solo per vederli finire in presentazioni PowerPoint che nessuno ha mai più aperto. E non sono l'unico: secondo uno studio di Deloitte, il 71% delle aziende ha un qualche tipo di catalogo delle competenze, ma solo il 9% riesce effettivamente a utilizzarlo in modo efficace.
Una proposta provocatoria: dimentichiamo le competenze (per un momento)
E se invece partissimo da una domanda diversa? Non "quali competenze ci servono?", ma "cosa fanno davvero le persone tutto il giorno?".
Pensateci:
- Quanti di voi sanno esattamente come le persone nel proprio team spendono il loro tempo?
- Quali sono le attività che creano davvero valore?
- Quali invece sono solo rituali aziendali che sopravvivono per inerzia?
L'elefante nella stanza: l'ascolto reale
"Ma noi ascoltiamo già i nostri dipendenti!", direte voi. Davvero? O forse li sommergiamo di survey standardizzate che non colgono la realtà quotidiana?
È qui che entra in gioco un approccio completamente diverso. Glickon, ad esempio, non parte da taxonomie preconfezionate, ma da un ascolto profondo e continuo:
- Analisi delle interazioni reali tra le persone
- Mappatura delle relazioni informali
- Comprensione dei flussi di lavoro effettivi
Dal caos all'ordine (ma quello giusto)
Solo dopo aver compreso veramente cosa succede nel quotidiano, possiamo iniziare a parlare di competenze. E qui arriva la parte interessante:
- Le competenze emergono naturalmente dai pattern di attività
- Le relazioni tra competenze diventano evidenti
- I gap non sono più teorici ma profondamente pratici
Un caso pratico: quando la realtà supera la teoria
Un nostro cliente, un'azienda tech di medie dimensioni, aveva creato un elaborato framework di competenze "necessarie" per il proprio team di sviluppo. Dopo tre mesi di utilizzo di Mine Engagement per l'ascolto attivo, è emerso che:
- Il 90% delle competenze più utilizzate non era nemmeno nel framework originale
- Esistevano cluster di competenze trasversali completamente invisibili nell'organizzazione formale
- I team più performanti si basavano su mix di competenze inaspettati
La tecnologia come alleato (non come soluzione magica)
Glickon offre gli strumenti per questa esplorazione, ma attenzione: la tecnologia è un mezzo, non il fine. Serve per:
- Ascoltare in modo strutturato ma non invasivo grazie alla nostra heatmap
- Analizzare pattern nascosti
- Suggerire azioni concrete, non teorie astratte
La rivoluzione dell'ascolto attivo
Come abbiamo visto anche in precedenti analisi, il vero valore non sta nella mappatura statica delle competenze, ma nella comprensione dinamica di:
- Come le persone collaborano realmente
- Quali competenze vengono effettivamente utilizzate
- Dove si creano le sinergie più efficaci
Conclusione: è ora di cambiare prospettiva
Se continuiamo a mappare competenze partendo da framework teorici, continueremo a ottenere risultati teorici. È ora di ribaltare l'approccio:
- Prima osserviamo e ascoltiamo
- Poi comprendiamo i pattern
- Solo alla fine formalizziamo le competenze
Siete pronti a mettere in discussione il vostro approccio alla gestione delle competenze?